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martedì 31 maggio 2011

Le nostre emozioni e gli spazi che abitiamo



Più che a un metodo progettuale, è necessario riferirsi a un approccio. Un approccio che muove dalla profonda convinzione che siano i luoghi e le persone che li abitano a suggerire i temi progettuali. Il progetto deve leggere i caratteri storici e morfologici, le trasformazioni, i segni antropici di un luogo, come interrogarsi rispetto alle necessità, alle paure, ai desideri di coloro che in quei luoghi cammineranno, lavoreranno, giocheranno o saranno curati in quei luoghi. Le persone, gli spazi aperti e le dinamiche che sono alla base dell’interazione fra questi, divengono gli elementi d’indagine Questo accade nella misura in cui il segno è “qualcosa che rinvia a qualcos'altro”, una scelta compositiva, un singolo elemento progettuale rappresentano una relazione di significazione – ovvero, ogni relazione che lega un elemento fisico, materialmente presente, a qualcos'altro di assente, oppure ad un’azione ad esso connessa -, la luce rossa del semaforo è l’indicazione a fermarsi. Attraverso la relazione di significazione si attiva un processo di comunicazione. Si stabilisce così un sistema di relazioni che è il presupposto concreto alla comunicazione e, in ultima istanza, alla terapia.
Uno spazio è vivibile nella misura in cui è ri-conoscibile, o meglioconoscibile, in altre parole, la sua organizzazione può essere letta con relativa facilità. E’ uno spazio nel quale è agevole orientarsi e muoversi, uno spazio facile da abitare, da attraversare, caratterizzato da estrema semplicità. Esso trasmette fiducia, pone i suoi utenti in condizione di leggerlo, di interpretarlo, di riconoscerlo e quindi di af-fidarsi a esso. L’intenzione del lavoro di progettazione di aree destinate alla cura del disagio è di ri-disegnare luoghi per le persone, spazi ergonomici, che – come tali -, favoriscano l’attivazione di funzioni terapeutiche. Il livello di ergonomia di uno spazio è connesso alla qualità del rapporto tra le persone e gli spazi stessi, determinata dalla sicurezza, dall'adattabilità, dall'accessibilità, dalla conoscibilità e semplicità di fruizione dei luoghi.

FATTORIA SOCIALE E HEALING GARDEN

“Le fattorie sociali scardinano il concetto di mero assistenzialismo e propongono una rivoluzione copernicana nel modo stesso di intendere le politiche sociali, una rivoluzione che ha il sapore dei frutti della terra, del vino e del miele che in queste aziende si producono”. Sono le parole di Tiziana Biolghini, Consigliere Delegato alle Politiche per l’Handicap della Provincia di Roma, ente che sembra puntare molto sull’“agricoltura sociale” come mezzo per l’integrazione delle categorie deboli ed al contempo per il rilancio del settore primario. Tanto da aver ideato un progetto per la creazione di una rete di fattorie sociali e l’istituzione di un apposito strumento – il Forum delle Fattorie Sociali della Provincia di Roma – per il coordinamento e la promozione della stessa.
Le persone con disabilità possono trarre grandi benefici sul piano fisico e intellettivo dal contatto diretto con la natura e dal coinvolgimento attivo nei lavori tipici di una azienda agricola.
Queste “esperienze agresti” possono concorrere anche all’integrazione sociale di un individuo: le varie attività permettono di scoprire nuovi interessi, sviluppare abilità, recuperare equilibri perduti. E – cosa non meno importante – sono un’ottima occasione di confronto e socializzazione.
Ma l’opportunità più significativa è, a nostro avviso, quella offerta dalle attività formative che sempre più spesso sfociano in reali possibilità di inserimento lavorativo, a volte anche all’interno della stessa azienda che le propone.



Pet-Therapy

Interventi di cura personalizzati, caratterizzati dalla relazione adulto - bambino, mediata dalla presenza e dalla relazione con l’animale (cavallo, gatto, coniglio, cane, asino, maiale). L’approccio privilegia in modo preferenziale la stimolazione della componente emotivo-affettiva e relazionale che consente il raggiungimento di significativi risultati.
La recente diffusione dell’impiego degli animali in ambito educativo e terapeutico ha posto in evidenza la necessità di disciplinare questo tipo di interventi ma ha fatto contemporaneamente emergere il bisogno di approfondire la relazione uomo-animale per evitare di ridurla ad un rapporto strumentale o utilitaristico.

L’asino è stato recentemente riscoperto come “animale relazionale”, riabilitando proprio la sua attitudine alla socializzazione, sapientemente costruita su una lunga storia di legame con l’uomo. L’attivazione immaginativa che questo animale suscita per il suo curioso aspetto, la sua immediata accessibilità, la ricchezza di immagini fiabesche a lui collegabili, lo rendono particolarmente indicato come mediatore a attivatore di relazione all’interno di percorsi educativi e riabilitativi.Il suo stesso carattere terapeutico oggi attestato dalle numerose proposte di onoterapia presenti sul territorio nazionale non può che fondarsi su questi fattori di scambio, ovvero di reciprocità che nel contatto visivo e corporale si viene a stabilire fra l’uomo e l’animale. Su queste premesse si è costruito il percorso di relazione mediata con l’asino che oltre a mostrare concretamente le applicazione possibili in campo educativo e della riabilitazione, lavora sulle premesse etiche indispensabili per qualsiasi trattamento con l’impiego di animali.Uno degli aspetti più interessanti per chi, come noi, si occupa di asini, è di scoprire che questo animale non può essere pensato isolatamente. Infatti è difficile immaginarlo allo stato brado, immagine facilmente accessibile se pensiamo invece ai cavalli, in quanto la sua storia lo vede da una parte legato alle fatiche dell’uomo, dall’altra all’immaginario dei bambini ampiamente sviluppato nelle favole.
Le sue lunghe orecchie, la posizione e la gradezza degli occhi, la forma curiosa della sua testa, concentrano la nostra attenzione su questa parte del corpo che è per eccellenza luogo di espressione e comunicazione. Questo animale, capace di sostare e di essere tranquillamente accessibili ai bambini, propenso ad incuriosire per le sue fattezze e per la facilità ad essere avvicinato, caro alla memoria degli anziani, soprattutto in una zona come la nostra ricca di mulini, si è dimostrato un comunicatore eccezionale e un costruttore di buone relazione.
L’asino è a tutti gli effetti un bene relazionale perché, in questa prospettiva, funge da “struttura connettiva” che agisce in modo trasversale alle diverse età.
La sua funzione terapeutica si esplicita, in questa caso, in una prospettiva di comunità, perché offre a tutti, in modo indistinto la possibilità di immaginarsi in un paesaggio diverso, nuovamente riabilitato e all’interno di relazioni solidali che sono l’effettivo inizio di nuove economie.

Ad Azzanello di Pasiano c’è una realtà straordinaria in cui ragazzi diversamente abili allevano e istruiscono animali che, a loro volta, interagiscono con bambini anziano portatori di handicap in quelle che sono conosciute come attività di “pet therapy”.
Questa realtà si chiama “Arca” ed è una fattoria sociale che offre un servizio educativo e riabilitativo rivolto a minori, anziani e soggetti svantaggiati sfruttando le potenzialità delle relazione uomo-animale. La cornice delle attività svolte dalla cooperativa è pensata e realizzata con persone diversamente abili, che si occupano, accudiscono e si prendono cura dell’animale, relazionandosi con lui, svolgendo insomma un lavoro utile di cui possono vedere i risultati. Il beneficio sociale, inoltre, si coniuga a quello economico: si creano infatti i presupposti per la cooperativa di autofinanziarsi e all’ente pubblico di avere un risparmio nei costi di assistenza al disabile.
opoterapia, quella disciplina che sfrutta le caratteristiche proprie dell’asino (la taglia ridotta. La paziente, la morbidezza al tatto, la lentezza di movimento e la tendenza ad andature monotone) per entrare in comunicazione con il paziente.




Architettura del paesaggio e giardini terapeutici

"L'occuparsi della terra e delle piante può conferire all'anima una liberazione e una quiete simile a quella della meditazione. (Hesse 1952)"
Il giardino terapeutico va concepito come un sistema abitabile da più soggetti con bisogni e caratteristiche diverse, ma integrabili, che accoglie spazi e situazioni che saranno percepite dai fruitori come proprie, familiari, facilmente riconoscibili come facenti parte del proprio desiderio di “natura” ma che tuttavia si potranno facilmente riconfigurare come spazi setting, destinati ad un uso più specificamente scientifico e terapeutico.Nel giardino è possibile riappropriarsi dell’originaria relazione uomo-natura attraverso la promozione di azioni di cura che nella loro naturalità ottengono un beneficio altrimenti non raggiungibile attraverso le procedure classiche.
Fin dalla storia antica, già dal tempo degli Egiziani, si progettavano giardini per pazienti afflitti da malattie mentali; nelle abbazie dell’Europa medievale e negli antichi monasteri si sfruttavano gli effetti terapeutici e rigeneranti legati alla contemplazione della natura.
Questa funzione riabilitativa è stata recentemente riscoperta e rivalutata soprattutto nei paesi anglosassoni sia sotto forma di Healing Garden che di Therapy Garden rivolta soprattutto a pazienti con disagi di tipo psico-pedagogico.
Il benessere legato al giardino non può tuttavia risolversi solamente nella sua funzione terapeutica, ma riguarda tutti coloro che desiderano riacquistare una dimensione di benessere personale e relazionale; in questo senso può essere pensato come uno strumento importante per lo sviluppo psico-affettivo dei bambini e dei ragazzi in età scolare
Healing garden trova in italiano la modesta traduzione di “giardino terapeutico o giardino che cura” e fa riferimento all’utilizzo delle piante e del giardino per la cura e riabilitazione dell’essere umano. Si basa sul presupposto, dimostrato scientificamente, che la vista e il contatto con il “verde” diminuiscano il livello di stress delle persone, migliorandone l’umore, aiutando a sopportare meglio il dolore, la depressione, e addirittura stimolando la ripresa dell’organismo in fase di convalescenza.
La percezione sensoriale, la coordinazione motoria, la soluzione creativa dei problemi, vengono efficacemente stimolate e potenziate dagli healing garden. Essi possono rappresentare una terapia di sostegno alle tradizionali cure mediche, e sono utilizzati dagli anni ‘70, inizialmente negli Stati Uniti e in Canada e successivamente in Nord Europa, in percorsi terapeutici con persone affette da dipendenze, detenuti, disabili fisici e mentali, malati neuropsichiatrici, anziani, bambini, e nondimeno al personale di sostegno degli stessi malati (medici, infermieri, operatori, volontari in genere). Esiste sul tema un’ampia letteratura, perlopiù di origine americana o nordeuropea. Vedute di alberi e spazi verdi, nell’intorno delle case di cure e di ospedali riducono il periodo di degenza ospedaliera, abbattendo l’uso di farmaci, antidepressivi, e antidolorifici [...] La presenza di un parco in una struttura residenziale, la sua visione e il suo godimento incidono positivamente sulle persone che vivono all’interno della struttura stessa (tradotto e adattato da Ulrich, 1984) .
In un’accezione più stretta, l’ortoterapia, fa riferimento allo stesso principio del healing garden, ma più specificatamente “attiva”, viene intesa come l’insieme delle pratiche di giardinaggio quale strumento per la riabilitazione di individui con traumi psichici e fisici. L’ortoterapia può contribuire a favorire la reintroduzione nella società e nel mondo del lavoro di fasce deboli della popolazione. Essa, specie se condotta all’aperto, contribuisce a: ridurre l’irritabilità, la pressione arteriosa, rafforzare la resistenza allo stress, inibire gli stati ansiosi e facilitare la predisposizione al buon umore, esaltare le proprie capacità e quindi infondere fiducia a se stessi
ECOSOSTENIBILITà
L'alto valore sociale del progetto, non poteva che rispecchiare una forte volontà di ricerca nell'ambito delle innovazione eco-sostenibili e di efficienza tecnologica. Il riscaldamento e il raffreddamento potrebbero essere affidati ad un impianto geotermico radiale, che si compone di sonde geotermiche in grado di scambiare calore ad una profondità di 80 metri. Il riciclo dell'aria inoltre potrebbe essere affidato ad un'unità di trattamento dell'aria con la possibilità di recupero del calore.Sulla copertura sono presenti dei pannelli fotovoltaici in grado di garantire una produzione di energia elettrica pari a 17 Kw, integrati con dei collettori solari per la produzione di acqua riscaldata ad uso sanitario.

mercoledì 11 maggio 2011

_ IL CLIENTE_

PARTNERSHIP
Intervista alla Dott. In psicologia Federica Caccioppola
Dopo aver contattato vari centri di recupero ed associazioni per i disabili, la scelta del cliente è “caduta” sulla dottoressa in Psicologia Federica Caccioppola.
La dottoressa si è da subito mostrata molto interessata al tema e alla modalità con cui questo gli è stato proposto.
Le prime proposte sull'organizzazione planimetrica del complesso Mixitè richiamano subito la sua attenzione, le ampie vetrate, i volumi che si sovrappongono, il contatto intenso con la natura colpiscono piacevolmente la dottoressa.
Richiamo subito l'attenzione sulle attività di recupero che intendevo proporre all'interno del centro (non essendo io esperta nel campo); difronte a queste domande, la dottoressa mi appoggia e propone attività manuali come la ceramica, la lavorazione del legno, la pittura (mi parla di alcuni centri in Macedonia dove venivano prodotte dai disabili delle mattonelle in ceramica su cui venivano poi applicate delle foto e immagini); mentre esclude il laboratorio di fotografia poiché lo ritiene  troppo complesso per il tipo di disabilità di cui si occupa il centro,e la proposta di un cinema interno che isolerebbe troppo i ragazzi attraverso la creazione di un ambiente troppo chiuso e indipendente. In alternativa però mi propone l'inserimento di una piscina (come attività fisica molto utile)e di un laboratorio di teatro, considerando la teatroterapia come un mezzo che faciliti l'inclusione e lo scambio tra i vari ragazzi.
Quando le espongo il concetto di Mixitè e la presenza di una zona Exchange, la dottoressa rimane anche qui positivamente colpita: A sua conoscenza non ci sono centri in cui sia possibile anche la vendita di prodotti; La proposta di uno spazio commerciale è molto buona ma è necessario che questo ambiente sia ben separato dal centro stesso in cui vivono i ragazzi per evitare la confusione e anche possibili fughe.
Arriviamo poi a parlare della zona Living: mi propone di non inserire più di 10 /15 ragazzi per lasciargli gli spazi necessari e poiché è quasi sempre necessario 1 operatore per ogni disabile;inoltre mi suggerisce di dedicare alla residenza i volumi all'ultimo piano.
Si decide poi di dedicare il centro a ragazzi sopra i 18anni e che presentano ritardi lievi perché anche la dottoressa mi pone difronte al seguente problema: spesso i ragazzi affetti da lievi ritardi, una volta terminata la scuola, non trovano lavoro o, ben più grave,non hanno più modo di socializzare e integrarsi con i ragazzi normodotati; capita spesso che siano le famiglie stesse a richiedere alle scuole che i loro figli vengano bocciati cosi che possano tenerli li il più tempo possibile.
La presenza di una zona Living ci stimola a raggiungere un nuovo obiettivo: creare un centro che sia un giusto intermedio tra i centri diurni ( che propongono attività giornaliere ma che poi vedono i ragazzi tornare nelle loro famiglie dove spesso sono ovattati e “legati”) e le case famiglia che si presentano chiuse verso il pubblico, centro in cui anche per le famiglie è difficile andare a trovare i loro figli.
Il giusto punto di incontro tra le due tipologie ci fa arrivare al nostro centro Disability becomes Ability.
La dottoressa mi propone percorsi ciclici per i ragazzi, cioè la presenza di un ricambio tra i giovani che vengono accolti nel centro: questi ragazzi saranno accolti per un periodo limitato durante il quale verranno abilitati a svolgere attività, lavori, o semplicemente verraono aiutati all'integrazione; al termine di questo ciclo i ragazzi sono liberi di decidere di tornare a casa, andare in altri centri, o rimanere all'interno del nostro centro come aiuto operatore e assistente di nuovi disabili pronti per essere accolti.
L'attenzione della dottoressa va poi sulle barriere architettoniche: è fondamentale che io tenga conto di questo durante la mia progettazione:mi spinge ad abolire ogni tipo di barriera.
Per quanto riguarda i ragazzi accolti, lei mi propone di non avere limiti nell'accettazione di disabilità, purché sia lieve; ma mi propone di cercare di avere una composizione per lo più eterogenea cosi che l'interscambio tra disabili sia migliore e più ricco.
Per ultimo la dottoressa ribatte con forza il Bisogno, la Necessita di nuovi centri di inclusione ed abilitazione per i disabili che siano la giusta via di mezzo tra i già esistenti centri diurni e le case famiglia; un centro che sia residenziale, ma non a vita, che formi il ragazzo ma che non lo limiti a vivere per sempre in quel contesto; recuperare ragazzi con lievi ritardi che rischiano, una volta usciti dalle scuole, di non avere più possibilità di interazione e di crescita.
Al termine della lunga conversazione la dottoressa mi ha riproposto il suo appoggio e il suo aiuto nel corso dell'avanzamento del progetto.

lunedì 9 maggio 2011

_ CONTESTO AMBIENTALE _

Individuazione del Perimetro



Individuato un perimetro di 5Urban Voids limitrofi si è passato all'analisi di quest'ultimi :
C 10 : Area principalmente Verde ( ricca presenza di alberature) e ben collegata con il contesto. Inserita all'interno di un contesto urbano continuo gode di una buona schermatura a nord a Vento e Sole.
In quest'area è inoltre previsto un Eco-Behaviourial Center

C 12 :Area ricca di Verde e caratterizzata dalla presenza di cave sotterranee e di catacombe. Area ben collegata e inserita in un tessuto urbano rado. Gode di schermature a Sud, mentre è aperta a Nord verso i venti freddi.
In quest'area sono previsti un centro di integrazione Rom, un centro di riciclo e riuso, una fondazione per la ricerca Archeologica

C 49 :Area limitrofa al lotto di progetto e posta a quota superiore il livello strada. Il terreno è rugoso a Nord ( preesistenze) mentre il lato Sud si apre sul lotto di progetto.

C 50 :Lotto gia "pieno" e ben collegato al contesto. Apertura a Nord e schermature date da alberature a Sud.

All'interno del perimetro individuato si può riscontrare una forte presenza di verde ben inserito anche nei singoli lotti, questo permette una buona fusione tra Natura e tessuto urbano. 
Si può inoltre notare come procedendo da Est verso Ovest vi sia una intensificazione del costruito, passando da una zona esclusivamente verde ad una zona fortemente urbanizzata.